Precarietà urbana

   2019 / 2020

Le scatole di cartone hanno sempre destato il mio interesse, sono elementi comuni, dotati di un’interessante estetica che passa troppe volte inosservata. Pensando ad alcune parole di Bauman: “Un mercato dei consumi che si facesse carico di esigenze a lungo termine, se non addirittura dell’eternità, sarebbe una contraddizione in termini. Esso favorisce invece la rapidità di circolazione, l’accorciamento della distanza
tra uso, scarto e smaltimento e l’immediata sostituzione dei prodotti più redditizi: tutte le cose che contrastano in maniera stridente con la natura della creazione culturale”.

Ho trovato nelle scatole il soggetto che più rappresentasse questa descrizione di merce. Sono oggetti nati con l’unica aspirazione di essere aperti, rotti e successivamente buttati. La sola cosa che solitamente attribuisce valore ad una scatola è il suo contenuto.  Ho cercato quindi di invertire questa attitudine cognitiva valorizzando ciò che in un pacco passa più inosservato: il suo involucro. L’intenzione ironica è sostanzialmente quella di far diventare un oggetto transitorio, come la scatola di cartone, un oggetto culturale.

L’ azione consiste basicamente nel montare le scatole (è più facile trovarle chiuse ai lati degli appositi bidoni) e dar loro una forma che conservi lo stato di precarietà . Questa qualità delle strutture vuole suscitare nello spettatore una sensazione di incertezza. Il fatto che sia posizionato in strada, quindi in un contesto urbano, accessibile a tutti, è un invito ad interagire con il mondo che ci circonda, ad alzare lo sguardo e chiederci cosa è reale e cosa non lo è.